3 dicembre 2020 – Il criterio pensato per i crediti finanziari non è applicabile ai crediti commerciali e produrrà fino a 12 miliardi di euro di Npl. Fausto Galmarini, Presidente di Assifact, l’Associazione italiana che raccoglie gli operatori di factoring aderente a Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, spiega i rischi della normativa dell’Eba, in vigore dal 1° gennaio 2021.
Quali misure sono previste dai decreti emergenziali a sostegno delle imprese danneggiate dal Covid-19 che riguardano il factoring?
Il factoring ha potuto beneficiare solo marginalmente delle misure varate dal governo. La moratoria introdotta dal decreto Cura Italia e la garanzia pubblica (“Garanzia Italia”) inserita nel decreto Liquidità riguardano le sole operazioni di factoring pro solvendo, che rappresentano meno del 25% del mercato.
La proposta associativa di estendere la garanzia concessa alle imprese per i debiti finanziari, anche per i pagamenti dei debiti commerciali connessi a cessioni perfezionate pro soluto mediante la concessione di dilazioni di pagamento ai debitori ceduti, non è stata presa in considerazione dal governo. Le dilazioni sono, quindi, attualmente sostenute dalle società di factoring a proprio rischio, valutando caso per caso e d’intesa con le imprese cedenti.
E dunque?
Dopo una serie di interlocuzioni e di sollecitazioni a vari livelli, il ddl Bilancio attualmente in discussione ha previsto l’estensione di Garanzia Italia anche con riferimento ai crediti acquistati nella modalità pro soluto, operatività che rappresenta oltre il 75% del mercato. Occorre attendere la discussione definitiva per averne conferma. Ci sono comunque altre misure che potrebbero agevolare lo smobilizzo dei crediti commerciali da parte delle imprese, con impatto zero sul bilancio dello Stato.
Per esempio?
Si tratta di interventi volti a rimuovere gli ostacoli burocratici e i vincoli di varia natura alla cessione e all’incasso dei crediti. Mi riferisco, ad esempio, alle modalità di perfezionamento e notifica della cessione dei crediti verso la Pubblica amministrazione, che prevedono ancora oggi l’atto pubblico e la notifica a mezzo ufficiale giudiziario, nonché alle clausole di incedibilità dei crediti vantati nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale, davvero inique per le Pmi.
Il settore del factoring ha lanciato l’allarme imprese per l’introduzione da parte dell’Eba della nuova definizione di default. Quali sono gli effetti delle nuove regole previste dalla vigilanza prudenziale delle banche?
All’entrata in vigore della nuova normativa Eba, che introduce la nuova definizione di default dal 1° gennaio 2021, mancano ormai poche settimane. L’associazione ha da tempo lanciato l’allarme sull’impatto nell’operatività del factoring.
Ma cosa prevede tale normativa?
Due cambiamenti sostanziali: il passaggio automatico a default del credito scaduto oltre 90 giorni (“past due 90 days”) e la riduzione della soglia di materialità per la classificazione a default del credito scaduto dal 5% all’1% (soglia relativa) dell’esposizione complessiva, con una soglia assoluta di 500 euro (per crediti verso imprese) e di 100 euro (per i privati).
Le modalità di calcolo del cosiddetto “past due 90 days” e i criteri adottati sono ora molto più stringenti. L’intento dei regolatori è quello di anticipare il momento del riconoscimento del default di un debitore, ma non sono state valutate le ricadute sull’operatività e sull’economia reale.
Il principale errore in cui sono incorsi i regolatori è quello di far utilizzare un criterio pensato per i crediti finanziari derivanti dalla normale attività bancaria anche per i crediti originati da transazioni commerciali. Il credito finanziario incorpora un’obbligazione di pagamento incondizionata a una determinata scadenza; la fattura, invece, rappresenta un credito commerciale originato da un contratto di fornitura in cui sono richiamate numerose clausole su tempi di consegna, qualità e quantità della merce, verifiche amministrative, ecc. La data di scadenza è quindi nominale e il pagamento è subordinato alle attività di verifica prima indicate e alle prassi in uso tra fornitore e cliente.
Se un ritardo di pagamento di 90 giorni di un debito finanziario può essere effettivamente indicatore di un possibile default – lo dimostrano i dati storici degli impieghi bancari – non altrettanto lo è nelle transazioni commerciali nelle quali la migrazione del past due a default è percentualmente molto bassa, a dimostrazione che il pagamento viene effettuato e che lo scaduto non ha una correlazione con il downgrading del merito di credito del debitore.
Cosa ne deriva in pratica?
La nuova definizione di default applicata anche ai crediti commerciali risulta particolarmente penalizzante nel contesto nazionale, caratterizzato da tempi di pagamento più lunghi rispetto alla media europea, ma diviene devastante nell’attuale fase emergenziale. Ho citato in precedenza i requisiti per i quali nel 2021 un credito verrà classificato come deteriorato: ritardo di oltre 90 giorni nel pagamento di un’obbligazione creditizia, soglia di materialità relativa (1% dell’esposizione complessiva) o assoluta (500 euro per le imprese e 100 euro per i privati).
Fra l’altro le nuove regole Eba prevedono che il monitoraggio dello scaduto sia effettuato non sulla singola fattura ma sulla presenza in capo al soggetto debitore di fatture scadute oltre 90 giorni; ne consegue che le esposizioni possono risultare “deteriorate” anche in presenza di ritardi di pagamento minimi rispetto alle scadenze previste, se ripetuti nel tempo, in virtù di un “effetto trascinamento” dei ritardi passati sebbene successivamente regolarizzati con il pagamento.
Ad essere danneggiate dalle nuove regole saranno quindi le imprese, che vedranno i loro crediti classificati come deteriorati solo per un mero cambio nell’approccio regolamentare e non per un reale deterioramento del proprio merito di credito; esse avranno grosse difficoltà nell’accesso al credito e nell’ottenere la liquidità di cui necessitano.
A dimostrazione del forte impatto della nuova definizione di default sull’operatività, richiamo uno studio effettuato da Assifact che evidenzia come il 25% delle esposizioni verso le imprese, il 30% delle esposizioni verso le amministrazioni pubbliche centrali, il 63% delle esposizioni verso le amministrazioni locali e addirittura il 94% delle esposizioni verso gli enti del settore sanitario nazionale, dal 1° gennaio 2021 verrebbero classificate tra i crediti deteriorati (Npl) per un valore stimabile tra i 7,6 e i 12 miliardi di euro.
Quali proposte avete fatto per contenere i rischi che corrono le imprese?
Da tempo il settore del factoring ha espresso la propria preoccupazione sull’introduzione delle nuove regole e ha portato all’attenzione delle autorità competenti le gravi conseguenze sull’economia reale, già duramente colpita dall’emergenza sanitaria.
Per evitare tali ripercussioni l’associazione ha sottoposto, direttamente o tramite la federazione europea, alle autorità competenti – Eba, Parlamento europeo, Banca d’Italia, ministero dell’Economia e delle finanze – una soluzione interpretativa delle regole dettate dall’Eba in materia di rischio di diluizione. In pratica, si tiene conto sia del principio generale secondo cui per la classificazione a default occorre la continuità dello scaduto su una singola obbligazione creditizia per oltre 90 giorni, sia delle peculiarità del credito commerciale, nel quale operano le società di factoring, la cui esigibilità è soggetta a clausole, termini e condizioni inserite nei contratti di fornitura.
Nel caso dei crediti verso la Pubblica amministrazione, tale esigibilità è soggetta a specifiche norme, proprie della contabilità pubblica, che condizionano il pagamento allo svolgimento di determinate attività amministrative da parte dell’ente debitore, ovvero ne sospendono l’esigibilità impedendo il recupero forzoso.
L’evoluzione tecnologia e le nuove realtà fintech contribuiscono all’evoluzione e al rafforzamento del factoring. A quali iniziative sta lavorando il settore?
C’è grande attenzione e grande fermento nel settore, che vorrebbe sfruttare appieno le molteplici opportunità che l’innovazione tecnologica consente ai fini di migliorare il rapporto con la clientela e l’accesso al credito delle imprese. Si stanno guardando, altresì, con grande interesse le nuove realtà fintech che si affacciano sul mercato.
Nell’ambito della valutazione delle nuove tecnologie, Assifact ha appena concluso un progetto di ricerca, attivato nel 2019 con la collaborazione di Accenture, su “Trend ed evoluzione dell’invoice fintech a livello globale” che aveva l’obiettivo di analizzare lo stato dell’arte dell’invoice fintech (soluzioni tecnologiche applicate all’invoice finance, a supporto della cessione del credito, ndr) a livello mondiale, identificando i casi di successo delle startup innovative e gli esempi virtuosi di collaborazione fra queste e gli operatori del mercato, al fine di intercettare e interpretare i trend, con particolare focus sulla supply chain finance.
E poi?
È in fase di studio un progetto associativo per lo sviluppo di un registro digitale delle fatture elettroniche cedute a banche e intermediari finanziari, utilizzabile da tutti gli associati.
A tal fine abbiamo avviato le prime interlocuzioni istituzionali per capire l’interesse, la fattibilità e le soluzioni alternative per la creazione di una piattaforma digitale online comune per la cessione dei crediti, che vede la collaborazione di tutti i soggetti interessati, con l’obiettivo di snellire le operazioni di cessione, anche attraverso un apposito dialogo con il Sistema di interscambio (il sistema informativo gestito dall’Agenzia delle Entrate che riceve le fatture elettroniche sotto forma di file ed effettua controlli di conformità delle specifiche tecniche sui file ricevuti, ndr).
I primi riscontri delle controparti istituzionali coinvolte dai profili inerenti la fattura elettronica sono stati positivi e questo ci conforta nel proseguire con celerità e determinazione.